sabato 27 settembre 2008

BAILOUTS OR BAIL-INS


La mia impressione è che troppo spesso, sptutto in Italia, il fallimento (o meglio la possibilità di fallire) sia visto come cosa indegna e turpe, a cui persino si accompagna un sorta di giudizio morale implicito. "Ha fatto fallimento" tende a significare, da noi, "ha fatto cose sporche, è un ladro, un truffatore....". Ora, che talvolta ciò corrisponda alla verità dei fatti, non c'è dubbio, ma di qui a dire che un fallimento, per se stesso, ti catapulti immediatamente nella lega dei Coppola e Gnutti, ne corre, ne corre moltissimo. Forse è anche a causa di una storia nazionale in parte punteggiata da fallimenti cui si sono accompagnati scandali e illegalità di varia natura che il fallire continua a ricevere così cattiva stampa; tuttavia, io penso, il fallimento dovrebbe essere riabilitato. Tutti amiamo immaginare che il mondo che ci circonda sia molto più prevedibile di quanto la statistica ci dica, ma la realtà è che, ad esempio, di tutte le nuove imprese che nascono (di qualsiasi natura) ben oltre il 50% fallisce entro i primi cinque anni di vita. Pochi giorni fa, a Bruxelles, camminavo in centro con un amico il quale, nel vedere tutti i ristoranti pieni di gente ha detto "guarda che roba, basta aprire un ristorante e hai incassi assicurati". Quante volte abbiamo sentito un commento del genere? Io mille. Eppure, se vogliamo avere un'idea delle probabilità di successo nell'aprire un ristorante, non possiamo limitarci a contare chi ci è riuscito, perchè in tal modo mancano all'appello tutti quelli che ci hanno provato e hanno fallito, a causa della competizione, della sfiga, del ciclo economico.....  Ragionare così falsa la nostra visione delle cose e ci porta ad addomesticare, impropriamente,  la forza del caso. Fallire non soltanto è parte naturale delle cose, ma spesso è anche cosa desiderabile, perchè se nn si può fallire, difficilmente si può innovare. E non è certo proteggendo o salvando settori o società non più competitivi che si può arrivare lontano (l'industria automobilistica americana è probabilmene un caso di scuola, ma anche la ridente città di Asti, ove l'amministrazione comunale cerca di ostacolare in ogni modo la grande distribuzione per proteggere i piccoli, piccolissimi e microscopici esercenti, direi che non scherza!) 
La mia modestissima idea su Alitalia differisce moltissimo dalla maggior parte di ciò che ho letto negli utlimi mesi. Penso che ci siano casi in cui l'interesse collettivo possa imporre qualche forma di intervento e casi in cui l'interesse collettivo imponga il non intervento assoluto (Alitalia). Il fallimento di AIG negli USA avrebbe potuto mettere a rischio la stabilità finanziaria e dunque, almeno in parte, la salute economica di numerosi paesi in giro per il mondo (ciò detto, la struttura del prestito ponte è in questo caso ben diversa, in primis perchè esso non è a tassi di mercato [post bailout], ma a tassi ben più penalizzanti, in secundis perchè è molto molto probabile che il warrant che il Tesoro americano ha ricevuto in cambio risulti nel giro di pochi anni non già in una perdita, ma in una notevole plusvalenza per il contribuente, realizzando anche l'obiettivo di azzerare o quasi gli azionisti e così temperando almeno in parte i timori legati al moral hazard. Fatta eccezione per la divisione prodotti finanziari, AIG ha numerosi asset di grande pregio in tutto il mondo, i quali non hanno ragionevolmente subito nessuna riduzione di valore economico reale); il fallimento di Alitalia sarebbe stato, per ciò che mi riguarda, il miglior risultato nell'interesse collettivo italico, che è quello di avere un sistema del trasporto aereo moderno, efficiente ed a costi contenuti. Inoltre, derubricare le questioni di concorrenza dicendo che non dobbiamo lamentarci perchè oltralpe AirFrance ha oltre il 70% di quota di mercato è solo ridicolo, 1) perchè guarda alla faccenda dal punto di vista di Alitalia e non dei cittadini/consumatori italiani e i due soggetti decisamente non coincidono, 2) perchè afferma che dovremmo fare nostri i modelli peggiori (rotte protette, tariffe più alte) invece di sfruttare questa occasione per costruire qualcosa di migliore. 
Easyjet ha messo 10 giorni fa a disposizione da subito (altri a seguire) 10 aerei per l'Italia per rimpiazzare alcune rotte Alitalia; Ryanair, da due anni ormai, ha perfino offerto di costruire a proprie spese un terzo terminal interamente low cost a Malpensa per servire l'intera penisola (siccome è consuetudine che in bassa stagione, a cominciare da ottobre, si parcheggino alcuni velivoli, Ryanair stessa si è detta disponibile in tempi brevi a spostare questi aerei dagli hangar di Dublino ai cieli della penisola); numerose compagnie aeree straniere, sptutto in Asia, hanno da tempo espresso interesse per gli slot Alitalia e sollecitato la ridiscussione degli accordi bilaterali di traffico. Il fallimento del turperrimo carrozzone Alitalia permetterebbe (dovrei dire avrebbe permesso, ma poichè, come si dice, non basta un nuovo nome o un nuovo proprietario per curare i mali incancreniti di una società, per cambiarne la cultura organizzativa, le pratiche e i processi aziendali consolidatisi in anni ed anni [domandare a Telecom Italia], conservo non poche speranze che in qualche anno si torni esattamente al punto di partenza) a questi operatori (e ad altri potenzialmente), che oggi sono la vera innovazione nel settore, di fornire un servizio adeguato, più puntuale e con tariffe assai più basse e di riassorbire, nel mentre, parte del personale Alitalia che a quel punto, inoltre, per semplice mancanza di alternative (lavorare per Easyjet o tutti a casa) sarebbe privato della possibilità di ricattare un intero paese. Un fallimento catartico ed esemplare, l'idea che 1) fallire si può e talvolta si deve, 2) il potere di ricatto delle minoranze organizzate non deve prevalere sull'interesse collettivo. In un paese civile deve essere possibile assegnare nuove licenze di taxi per meglio servire i cittadini e se i taxisti fanno le barricate è necessario non arretrare di un millimetro e combattere, altrimenti lo Stato non esiste. Io trovo del tutto incredibile che la possibilità di risolvere così, o su tale falsariga, la questione Alitalia non sia mai stata sul tavolo.











martedì 16 settembre 2008

Una simpatica clausola


Ringrazio ben per aver tenuto vivo il blog durante il nostro letargo estivo.
Dopo essere stato rapito tra lavoro e l'organizzazione della summer school del pd (che udite udite è stata una bella esperienza), vi inoltro questo posto preso da nfA



Alitalia: verso il fallimento della legalità
Roberto Bin
(9 settembre 2008)
“In relazione ai comportamenti, atti e provvedimenti che siano stati posti in essere dal 18 luglio 2007 fino alla data di entrata in vigore del presente decreto al fine di garantire la continuità aziendale di Alitalia-Linee aeree italiane S.p.A., nonché di Alitalia Servizi S.p.A. e delle società da queste controllate, in considerazione del preminente interesse pubblico alla necessità di assicurare il servizio pubblico di trasporto aereo passeggeri e merci in Italia, in particolare nei collegamenti con le aree
periferiche, la responsabilità per i relativi fatti commessi dagli amministratori, dai componenti del collegio sindacale, dal dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, è posta a carico esclusivamente delle predette società. Negli stessi limiti è esclusa la responsabilità amministrativa-contabile dei citati soggetti, dei pubblici dipendenti e dei soggetti comunque titolari di incarichi pubblici. Lo svolgimento di funzioni di amministrazione, direzione e controllo, nonché di sindaco o di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari nelle società indicate nel primo periodo non può costituire motivo per ritenere insussistente, in capo ai soggetti interessati, il possesso dei requisiti di professionalità richiesti per lo svolgimento delle predette funzioni in altre società.”

Questo non è uno scherzo, né il “caso” sottoposto da un collega fantasioso all’esercitazione degli studenti: è il testo dell’art. 3, comma 1, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134, “Disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi
imprese in crisi”. Il mio non vuole essere un commento, ma piuttosto una richiesta di aiuto: vorrei tanto che qualcuno mi spiegasse che cosa significa questa disposizione. Che l’Alitalia sia in condizioni gravissime lo sanno tutti; che il Governo se ne
preoccupi è – finalmente – una buona notizia. Ma il salvataggio dell’Alitalia – o meglio della parte “sana” di essa: dove andranno le sue amputazioni ormai necrotiche è un altro problema – può giustificare un provvedimento di “sanatoria” che mandi esenti da responsabilità amministratori, controllori, dirigenti, nonché “pubblici dipendenti”o “soggetti comunque titolari di incarichi pubblici” da “fatti commessi” e, in particolare, da irregolarità nella “redazione dei documenti contabili”?
A prima vista, per quanto riguarda i funzionari pubblici questa norma sembra cozzare con gli art. 28 e 103 Cost., che fissano il principio della responsabilità personale del pubblico funzionario: ma per la responsabilità degli amministratori di una società per azioni non c’è proprio alcuna “copertura” costituzionale? Che cosa vuol dire che la “responsabilità per i fatti commessi” è “posta a carico esclusivamente” della società? Di quale responsabilità si sta parlando? Fosse anche solo quella civile, l’azionista o il creditore perdono l’azione contro gli amministratori e possono agire solo contro la società, magari inciampando nel suo fallimento? È più che evidente che il decreto-legge incide nei rapporti tra privati, con effetti retroattivi, modificando i termini in cui si esercita il diritto di difesa e – c’è da supporre, perché non conosco la realtà processuale – interferendo nella funzione giurisdizionale, con buona pace di una bella serie di principi costituzionali, a partire da quello di eguaglianza per atterrare su quello di separazione dei poteri.
Insomma, il tenore di questa norma mi sembra incompatibile con i fondamenti primi dello Stato di diritto: qui si fa della ragion di stato (identificata nell’aver operato per la “continuità aziendale”) l’unica giustificazione di un provvedimento del tutto
abnorme. Si pensi infatti che, non solo coloro che hanno commesso dei “fatti” tutt’altro che commendevoli (dal punto di vista del rispetto delle regole vigenti, s’intende) sono mandati esenti da responsabilità personale, ma addirittura si vieta di considerarli per quello che sono: il fatto che abbiano falsificato i bilanci o commesso altri illeciti (a proposito, siamo forse difronte al primo caso di notitia criminis con forza di legge?) “non può costituire motivo per ritenere insussistente, in capo ai soggetti interessati, il possesso dei requisiti di professionalità richiesti per lo svolgimento delle predette
funzioni in altre società”. Fantastico! Si profila l’illegittimità delle delibere amministrative che motivassero la scelta comparativa di un dirigente sulla base dei trascorsi amministrativi in Alitalia dell’altro candidato? Oppure la denuncia per diffamazione del consigliere di amministrazione di una società privata che fa mettere a verbale il suo dissenso motivato (questo è il punto) rispetto alla nomina di uno dei nostri Alitalia boys? Qualcuno mi aiuta, per favore? Si, capisco, sono ipotesi paradossali, quasi fantascientifiche. Ma questa disposizione non lo è forse? Le leggi ad personam non sono una rarità nel nostro Paese, e non mi riferisco certo alla mitica “legge Bacchelli”. Ma ormai, come si vede, sta diventando un genere di massa. Poi andremo a spiegare agli immigrati clandestini il valore della legalità: non hanno mica da salvare la Compagnia di bandiera, loro; egoisticamente pensano a salvare solo se stessi.