lunedì 23 giugno 2008

kosovo e dintorni


Per creare un po' di massa segue riflessione filosofico-geopolitica di Gianluca su kosovo e cittadinanza.






Chi ha diritto a una terra?

1)tutti
2)"coloro per cui essa è la madrepatria"
3)chi la occupa con la forza, fintanto che la occupa con la forza

La seconda è quella più frequente oggigiorno: questa posizione asserisce che esista un gruppo di persone che ha un diritto esclusivo ad un territorio: gli "italiani" ad esempio hanno un diritto particolare ad abitare l'"Italia". Questo diritto discende dalla "storia". Le critiche alla posizione sono piuttosto note, ma non posso tralasciarle. Chi è "italiano"? Chi è nato in Italia? Chi parla italiano? Chi ha entrambi o almeno un genitore italiano (e allora cosa fa sì che quel genitore sia "italiano")? Una possibile risposta è che sia italiano chi abita in Italia "da molto tempo". Egli o ella o (tipicamente) i suoi progenitori hanno preso abitazione in Italia in un momento del passato: prima evidentemente non erano italiani se sono diventati italiani con l'atto di prendere abitazione in Italia, allora chi prende abitazione in Italia diventa italiano. se sono diventati italiani in seguito, allora quando? le soluzioni di diritto pubblico sono due: o l'italianità è una scelta soggettiva come il voto o la religione, o è uno status che viene conferito dalla comunità. ergo, o sono diventati italiani quando hanno deciso di esserlo, e allora chiunque decida di esserlo è italiano. oppure quando l'assemblea degli italiani ha (sia pure idealmente) conferito loro tale titolo; e allora l'italianità dipende da tale assemblea: ogni qualvolta si determina una maggioranza (o altro meccanismo decisionale) chiunque può essere privato dell'italianità e dei conseguenti privilegi. le prime due posizioni implicano che allorché qualcuno venga trattato differentemente da un paese in cui abita (non importa da quanto) perché non italiano, possa dichiararsi leso e adire le vie legali o immediatamente o previa "dichiarazione spontanea di italianità". la terza è un sottocaso della terza opzione sopra, per cui cioè un gruppo ha diritto ad abitare un territorio fintantoché ha la forza per farlo (nella fattispecie, forza di maggioranza assembleare). altre posizioni (di italianità "noumenica" o conferimento divino o altro) non sono verificabili/falsificabili e dunque non possono essere fondamento di diritto pubblico (azione statale, che ad es. conferisca particolari diritti agli italiani).

- ridotta la seconda posizione o alla terza o a contraddizione (non pretendo di aver convinto tutti; fatevi sotto), rimangono le altre due. la terza, evidentemente, conduce a un diritto internazionale tucidideo (nel senso del dialogo dei Meli). in tal caso, l'unico motivo per cui gli italiani hanno "diritto" di cacciare i rumeni dalla penisola è perché ci sono loro e hanno la forza per farlo; analogamente per gli israeliani in palestina, per i serbi nelle krajine e a srebrenica, per gli slavi in istria e dalmazia, per gli albanesi in kosovo. bellum omnium contra omnes. buon divertimento! inutile dire che ne è del concetto stesso di diritto delle minoranze in questo contesto. la forma base della consociazione in tal caso è l'alleanza militare basata sulla comunità d'interessi, fintanto che essi sono comuni. la soluzione è possibile, ma non è oggetto di filosofia politica. il concetto di stato si fonda sull'avocazione del monopolio della violenza legittima; tale assetto, in cui sussistono fazioni private capaci di violenza, è illegittimo per lo stato per la stessa definizione di questo, le forze di polizia, difatti, sono preposte a perseguirlo qualora esso si presenti.

- unica coerente col concetto di diritto pubblico, rimane la prima soluzione: a una terra, originariamente, hanno diritto tutti. i corollari, molto brevemente, sono: l'unica sorgente legittima di diritto internazionale è una federazione mondiale di tutti gli individui razionali; ogni diritto di proprietà ha fondamento nella volontà del sovrano di tale federazione; la forma generale della proprietà territoriale, come di ogni proprietà, è il contratto privato, individuale o collettivo; ogni pratica di esclusione territoriale non sancita dal sovrano è reato penale e come tale perseguita (corollario: in altre parole: l'unico posto che sia "casa nostra", in cui siamo "padroni" e da cui possiamo escludere altrui, è, appunto, casa nostra, sul cui possesso abbiamo un contratto privato; ogni limite all'immigrazione è immediatamente lesivo del diritto pubblico. in altre parole ancora: l'Italia non è "degli italiani" - espressione peraltro insignificante dal punto di vista del diritto pubblico - ma di chiunque abbia le risorse per acquistare una proprietà in Italia, fintanto che vuole farlo e trova un venditore).

- in breve, chiunque può vivere dove gli pare. trasferirmi in Nigeria dovrebbe essere altrettanto facile che trasferirmi a Pisa, e idem per un nigeriano. se i rom vogliono vivere in piazza duomo a Milano, trovano qualcuno che gli venda lo spazio e hanno i soldi per comprarlo, proibirlo a loro è come proibirlo a me.

- giusto per evitare obiezioni facili: e se un'etnia delinque? risposta: le etnie non delinquono. il soggetto del diritto penale è l'individuo. questo individuo viene perseguito, a prescindere dalla sua cultura, come dal colore della sua camicia di oggi.

- vale la pena notare che in questo sistema lo stato d'Israele deve la propria legittimità alla spartizione votata dall'assemblea dell'ONU nel 1947, come approssimazione sia pure imperfetta di una deliberazione di tale sovrano mondiale (il che avrebbe anche ovvie conseguenze sui suoi limiti territoriali, in cui non voglio addentrarmi).

- in questo contesto le questioni di diritto internazionale sono ridotte a questioni di ordine pubblico. il concetto stesso di maggioranza o minoranza etnica è insignificante, perché lo stato è a-nazionale così come è a-confessionale. se i serbi in Kosovo vengono disturbati dalla maggioranza albanese (o viceversa), evidentemente la polizia federale interviene militarmente per impedire che ad alcuno venga torto un capello, con tutti i mezzi necessari. è questa la fondazione filosofica di interventi come quello del KFOR: prefigurazioni di tale ordinamento internazionale, unico razionale, che evidentemente presuppone la soppressione del concetto di sovranità nazionale.

- passo ora al concreto. la prima domanda è: qual è il criterio per valutare della bontà di una certa politica in campo internazionale? risposta: la politica preferibile è quella che minimizza la violazione di diritti individuali attesa (cioè minimizza la sommatoria dei prodotti delle entità di tali violazioni per la loro probabilità). qualora la politica che garantisce tali diritti nella loro integrità, cioè la federazione mondiale, non sia alla portata, è necessario valutare le opzioni disponibili e scegliere il male minore. devo fare una breve annotazione: le obiezioni alla "non è così che si fondano gli stati" vanno prese con le pinze. se il 65% degli abitanti della Bosnia vuole staccarsi dalla Jugoslavia, SUL PIANO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE IDEALE sopra delineato, non c'è nessun controargomento di diritto possibile. se i serbi vogliono boicottare il referendum, padronissimi. la federazione mondiale di cui sopra interverrebbe per imporre la volontà della maggioranza e sedare con la forza ogni tentativo di ribellione, come ogni stato fa per far osservare le sue leggi. l'alternativa è una minoranza che impone il suo volere a una maggioranza. unico controargomento possibile è quello della forza che è intrinsecamente illegittimo. se i rapporti di forza (appunto) impongono di tenerlo in considerazione, ciò non toglie che nella valutazione della politica migliore, a parità di tutto i il resto, è preferibile (= viola meno diritti) quella che rispetta la volontà popolare espressa nel voto. in altri termini, l'avvicinarsi alla soluzione ideale sopra delineata non è semplicemente un fatto auspicabile, ma un fattore di minore violazione di diritti che quindi va tenuto in considerazione nella valutazione comparativa di una politica.

- puntualizzazione su cosa vuol dire "non violare volontà". si legge spesso che spartire la Bosnia è giusto perché non si può costringere la gente a convivere contro la loro volontà. su questo è necessario sottolineare una cosa: come visto sopra, la gente non ha diritto di disputare chi può o non può abitare in un posto a meno che su questo non abbia un diritto di proprietà privata sancito dallo stato. in altri termini, semplicemente è irrilevante se ai serbi va bene o non va bene che a Srebrenica abitino dei mussulmani (come agli italiani sui rumeni, en passant). tutto ciò che i primi possono decidere è se a loro va bene abitare coi secondi. in caso contrario, nessuno li costringe a rimanere. la rilevanza dell'indisponibilità di una parte ad accettare la convivenza con un'altra non incide sulla valutazione di una politica per ciò che riguarda la non violazione dei diritti individuali (non è mio diritto decidere chi può abitare nel mio palazzo, a meno che il palazzo sia mio; se a me sta antipatico un condomino e rompo il vetro della sua macchina, giustamente quello chiama la polizia); bensì per quanto riguarda l'eventuale incremento di "conflittualità" conseguente a tale convivenza, cioè l'incremento di violenza potenziale eccedente ciò che può essere represso dato l'impegno militare desiderato.

- svolgerò ora l'analisi prendendo in considerazione la Bosnia e il Kosovo. naturalmente la prima migliore alternativa per un territorio multietnico come la Bosnia, qualora la federazione mondiale non sia disponibile, è una federazione regionale jugoslava (autenticamente) democratica. se i rapporti di forza lo consentono, essa andava imposta con la forza - cosa che si era anche timidamente tentato di fare nel 1991. allorché ciò non fosse possibile, la Bosnia (un paese dove le località con una maggioranza etnica del 95% erano, nel 1991, non più di dieci) andava tenuta insieme con la forza. da notare che ciò non dipende da argomenti del tipo "la Bosnia non era un'entità arbitraria, aveva una sua tradizione statuale fin dal tempo dei Kotromanić": infatti si applica a qualunque entità statuale, quali le due semi-indipendenti che di fatto sono sorte dal suo frazionamento. la "non arbitrarietà" di un'entità statuale, fondandosi sulla "tradizione storica" cioè in sostanza sul principio del "da molto tempo", va soggetta alle stesse critiche dei concetti identitari quali italianità, di cui sopra. essa è rilevante per la valutazione di una politica solo nella misura in cui informa le volontà degli abitanti: se questi credono che la Bosnia non sia arbitraria e votano di conseguenza, allora il loro volere (che la Bosnia esista, poiché non è arbitraria) va tutelato (così come quello dei tanti serbi che vogliono che non esista poiché credono sia arbitraria). naturalmente, se il volere della maggioranza degli abitanti della Bosnia è che la Bosnia esista (perché "non è arbitraria", o per qualunque altra ragione) farla esistere viola meno volontà individuali che non farla esistere.

- la soluzione si trova dunque così: posto un certo livello di impegno militare desiderato da parte della comunità internazionale - miglior sostituto disponibile della federazione mondiale - essa è l'assetto che minimizza la somma delle violazioni di diritti necessarie (in termini di violazioni di volontà individuali, o ad es. di trasferimenti forzati) e della "conflittualità" conseguente (cioè, come già definito sopra, la probabilità di violenza eccedente quella che può venire repressa dato l'impegno militare desiderato).

- arriviamo al dunque. a mio parere, posta tutta la discussione sopra, l'indipendenza del Kosovo è la soluzione migliore tra quelle disponibili. infatti: rispetta la volontà del 90% della popolazione residente; minimizza la "conflittualità" come sopra definita, poiché se è vero che irrita i nazionalisti serbi e i serbi di Kosovo, è anche vero che l'alternativa della piena sovranità serba irrita il 90% di albanesi di Kosovo. la volontà di un agente non è pubblica, ma può essere valutata dagli avversari solo sulla base dei precedenti: le politiche serbe degli anni '80 e '90 rendono comprensibile tale sentimento albanese perlomeno quanto quello dei nazionalisti serbi. segnatamente, non so quanti di voi sarebbero disposti a tornare sotto la sovranità di uno stato che otto anni fa ha cercato di sterminarvi e tredici anni fa ha dato (per dire poco) una consistente mano a entità che considerava solidali (i serbi di Bosnia) per sterminare dei vostri correligionari. infine, tale soluzione rispetta il vincolo dell'impegno militare desiderato da parte della comunità internazionale. sono d'accordo anch'io che la soluzione ideale sarebbe il commissariamento ONU sempiterno del Kosovo con occupazione militare dei caschi blu, cioè il congelamento della situazione preesistente alla dichiarazione d'indipendenza. il problema è che gli stati coinvolti non sono disposti a pagarne i costi economici e politici. quindi, la conclusione segue.

- naturalmente, a differenza della discussione filosofica dell'inizio, quest'analisi è di natura empirica. in altre parole, essa dipende dalle informazioni in mio possesso e potrebbe cambiare in accordo con esse.

italia-spagna


Per quello che valgono certe riflessioni, abbiamo perso seguendo il Paese. In maniera fatalistica. Non c'era la sofferenza epica e barricadera di Italia-Olanda. Non la forza del sacrificio, ma la spocchia di pensare che tanto quando le cose vanno male alla fine la spuntiamo noi fortunosamente. E dunque facciamole andare male.
Quando anche Panucci comprende lo Zeitgeist si sta proprio raschiando il fondo.